Giordani

La Giordani è stata una storica azienda felsinea, nota soprattutto per la produzione di giocattoli e altri articoli per bambini, come carrozzine e tricicli. Venne fondata nel 1875 da Raffaele Giordani, un artigiano bolognese che aprì una bottega in via San Vitale n. 16, poco distante dalle due torri. Si trattava di un’attività che richiedeva le competenze di fabbro e di meccanico, dato che alle classiche lavorazioni in metallo battuto Giordani abbinava alcune produzioni per l’epoca pionieristiche, ossia i velocipedi. Erano gli antenati della moderna bicicletta, con ruote anteriori molto grandi e utilizzati prevalentemente dalle classi sociali altolocate. Abbastanza diffusi oltralpe, in Italia ebbero un certo mercato soprattutto negli anni della cosiddetta Belle Époque.

L’attività di Raffaele Giordani fu così portata avanti dal figlio Pietro, che trasferì la bottega in locali più ampi, presso il Foro Boario (oggi piazza Trento e Trieste). Contemporaneamente iniziò a fabbricare anche qualche bicicletta e alcune sedie a rotelle per invalidi, ma soprattutto dei tricicli, che all’epoca erano tra i giocattoli più ambiti. Anche questi erano interamente in ferro battuto e per lo più acquistati da una clientela benestante. Nel 1911 fu la volta della terza generazione dei Giordani, ovvero di Raffaele, omonimo del nonno, che però dovette momentaneamente ridurre l’attività per lo scoppio della prima guerra mondiale, durante la quale fu occupato all’Arsenale militare come operaio specializzato.

Dopo il conflitto, in un nuovo locale fuori porta Galliera e insieme con i fratelli più piccoli – Giuseppe, Alberto e Aldo, che sarebbero tutti scomparsi prematuramente –, riprese a produrre biciclette e tricicli, ma anche carrozzine giocattolo e attrezzi da giardino, fra i quali le carriole. L’attività si direzionò poi sempre di più sui giocattoli e con un certo successo, tanto che nel 1932 fu necessario spostarsi in uno stabilimento più grande, in via Nicolò dall’Arca, sempre alla Bolognina. Negli anni trenta, il figlio di Raffaele, Pietro, anch’egli omonimo del nonno ed entrato in azienda per coadiuvare il padre, contribuì notevolmente all’espansione commerciale, portando i giocattoli Giordani a essere esportati addirittura nelle Americhe. Tra questi spiccava il «ciclobalilla», ovvero una bicicletta per bambini fra i quattro e i dieci anni, concepita con innovativi standard di sicurezza.

Nel 1941, lo stabilimento dava lavoro a quasi 600 addetti, il 70% dei quali erano donne. La seconda guerra mondiale portò prima a una conversione della produzione per finalità belliche e poi a gravi danneggiamenti dovuti ai bombardamenti e alle requisizioni tedesche. Dopo la Liberazione, la ripresa fu dopotutto rapida e guidata da Pietro Giordani, coadiuvato dai fratelli Ermete, Guerrino, Luciano ed Emilia, e dal di lei marito Umberto Grossi.

Nel secondo dopoguerra si ebbe il cosiddetto baby boom, ovvero un grande aumento delle nascite che portò a un progressivo aumento del fatturato della Giordani, anche in considerazione della maggiore capacità di spesa delle famiglie italiane. L’azienda divenne ulteriormente famosa per i passeggini, le carrozzine, i tricicli, le biciclettine e le piccole automobili-giocattolo, che altro non erano che quadricicli per bambini con carrozzerie lusinghiere. E così si dovette individuare un nuovo polo produttivo, perché la fabbrica alla Bolognina era diventata insufficiente.

Fu quindi realizzato un nuovo stabilimento a Casalecchio di Reno, che occupava 70.000 metri quadrati, collocato presso l’attuale via Domenico Cimarosa, in una porzione di territorio strozzata fra l’autostrada A1 e la Porrettana. Ultimato nel 1961, la nuova fabbrica ospitò tutta la nuova produzione, eccetto un reparto di costruzione dei tricicli che rimase in via Nicolò Dall’Arca fino al 1966. Contemporaneamente i giocattoli Giordani si evolvevano, con le ruote con cuscinetti a sfera, con le prime applicazioni elettriche ai quadricicli-automobile per bambini, e soprattutto con la plastica a sostituire il metallo. La lamiera, costosa e pesante, lasciava il passo a nuovi materiali termoplastici polipropilenici, robusti, leggeri, indeformabili e praticamente infrangibili, meglio adatti a sopportare l’irruenza dei giochi infantili, garantendo anche una maggiore sicurezza.

Gli anni settanta furono l’acme del tragitto aziendale, mentre seri problemi si profilavano all’orizzonte. Il primo e più grave era il calo delle nascite, che comportò una compressione del fatturato e le conseguenti difficoltà sul piano finanziario. In secondo luogo, i giocattoli e i prodotti per bambini furono interessati da una crescente segmentazione, mentre la produzione Giordani rimase confinata a un ambito dopotutto ristretto – dalle carrozzine ai quadricicli, passando per i tricicli – perdendo così di competitività sul piano commerciale. Infatti, la concorrenza era diventata maggiore e più agguerrita, con grandi aziende, anche multinazionali, in grado di produrre linee accattivanti e seducenti, magari perché ispirate agli eroi dei fumetti o ai personaggi dei cartoni animati.

Nel 1984, la famiglia Giordani decise di cedere l’azienda, oramai ampiamente in crisi. La nuova proprietà fallì nel tentativo di rilancio, tanto che lo stabilimento chiuse i battenti pochi anni dopo. Oggi il marchio Giordani è di proprietà della Giochi Preziosi, grande gruppo italiano del giocattolo. La grande fabbrica di Casalecchio, invece, è stata oggetto di un intervento di riqualificazione, che ha portato a un porzionamento dei capannoni e alla costituzione di una piccola zona industriale, circondata da via Domenico Cimarosa, via Antonio Zannoni e via Francesco Cilea, che oggi ospita varie piccole e medie aziende del settore manifatturiero e di quello terziario.

Bibliografia

  • Antonio Campigotto, Giordani: una famiglia, un’azienda, in «ScuolaOfficina», n. 2, 2012, pp. 4-7.
  • Alessio Zoeddu, Giordani: una grande industria al servizio dei piccoli, in «ScuolaOfficina», n. 2, 2012, pp. 8-14.
  • Piero Pini, Giocattoli Giordani: note tecnico-costruttive, in «ScuolaOfficina», n. 2, 2012, pp. 14-17.
  • Piero Pini, Per i “dinamici” bambini italiani: la Ciclobalilla Giordani (1934-1950), in «ScuolaOfficina», n. 1, 2013, pp. 10-15.
  • Alberto Lavit, Luigi Soldano, Auto per gioco, Vimodrone, Giorgio Nada editore, 2001.
  • Antonio Campigotto, Piero Pini, Costruttori bolognesi di giocattoli a pedali, in «ScuolaOfficina», n. 2, 2022, pp. 14-23.

Percorsi tematici

Gli anni 1968-1969 videro le maestranze della Giordani coinvolte in numerose manifestazioni e proteste volte alla rivendicazione di migliori condizioni di lavoro e all’innalzamento dei salari.

Un importante sciopero generale, il 7 giugno 1968, fu predisposto dalle organizzazioni sindacali provinciali contro l’atteggiamento dell’Associazione degli industriali e del padronato, che non riconoscevano il ruolo del sindacato come ente negoziatore per i rapporti di lavoro degli operai. In particolare, alla Giordani la battaglia verteva sul problema del premio di produzione, sulla mancata regolamentazione del cottimo e sulla speculazione sull’orario di lavoro. Nel corso del 1969 furono diversi gli obiettivi conseguiti dai dipendenti della fabbrica, confluiti nell’accordo raggiunto nel giugno di quell’anno, che prevedeva – a partire dal 1° luglio successivo – un’integrazione al premio di produzione ed un minimo del 15% sul cottimo, la corresponsione di un premio di assiduità, il riesame delle qualifiche dei lavoratori ed il mantenimento dell’orario di lavoro settimanale a 44½ ore.

Nonostante la larga adesione ad alcuni scioperi – quello generale del 22 gennaio registrò solo 35 lavoratori entrati in fabbrica su circa 550 unità - le organizzazioni sindacali sottolineavano però che il motivo del mancato raggiungimento di una parte delle rivendicazioni avanzate risiedeva nell’insufficiente partecipazione delle maestranze alla vertenza, che non riuscirono così ad impadronirsi dei problemi societari, quindi a risolverli.

L’onda lunga delle contestazioni giunse a luglio 1970, quando una nuova piattaforma rivendicativa vertente sui temi delle qualifiche, incentivi, nocività e minori non venne accolta dalla direzione aziendale, che contemporaneamente cercò di rompere l’unità operaia.

Sulla scia delle contestazioni avvenute sul finire degli anni Sessanta, le maestranze della Giordani avanzarono nuove rivendicazioni sociali e contrattuali nel decennio successivo.

Nel 1972, un accordo aziendale tra la direzione e le organizzazioni sindacali di categoria prevedeva l’eliminazione della 4a e 5a categoria per gli operai, con il relativo passaggio a quella superiore per 105 lavoratori. L’accordo fu salutato favorevolmente dal consiglio di fabbrica, che tuttavia sottolineò come ciò dovesse essere considerato il primo passo verso una più ampia e organica ristrutturazione della Giordani, dove si rendeva impellente una discussione sul tema dello straordinario e le sue conseguenze legate all’effettuazione dell’orario contrattuale e alle ripercussioni psico-fisiche che determina sul lavoratore.

Proprio l’orario di lavoro fu oggetto dell’accordo raggiunto nel novembre 1974, con cui, tra i diversi punti, l’azienda si impegnava al mantenimento dell’organico allora occupato sino alla fine dell’anno successivo. Non furono però raggiunti tutti gli obiettivi della piattaforma già avanzata dal consiglio di fabbrica nel novembre 1973, la quale prevedeva l’inquadramento unico, la paga unica di categoria con il superamento del cottimo e la parificazione delle voci di premio.

Sul finire del decennio un’importante crisi colpì la Giordani, minacciando l’occupazione dei lavoratori. Nell’accordo del luglio 1977, tra la ditta e la FLM provinciale, la direzione si espresse a favore del mantenimento dei livelli occupazionali in essere al 30 giugno precedente (680 dipendenti), impegnandosi anche a bonificare l’ambiente di lavoro, ristrutturare la mensa, ripristinare i servizi igenici, mettere a disposizione della R.S.A. un locale e ad aumentare il salario minimo. L’aggravamento della crisi aziendale, però, portò alla firma di un nuovo accordo nell’ottobre successivo che prevedeva l’utilizzo della C.I.G. per tutto il personale produttivo, con alcune eccezioni, e la rotazione delle maestranze per altri reparti, a partire dal 31 ottobre.

L’aggravamento della crisi aziendale mostrò importanti segni nei primi anni Ottanta, quando solo un accordo aziendale firmato nel giugno 1981 dalla direzione, il consiglio di fabbrica e la FLM provinciale, con il sostegno dell’assessorato alle Attività produttive delle Regione, evitò la riduzione di 170 unità dell’organico impegnato nello stabilimento di Casalecchio di Reno e la chiusura della fabbrica di Bondeno. A seguito dell’accordo, preservando l’occupazione di tutte le maestranze (650 unità), si ricorse allo strumento della cassa integrazione e furono esclusi i licenziamenti. Ciò nonostante, nel luglio successivo il Tribunale di Bologna diede avvio alla procedura di amministrazione controllata dell’azienda, durata sino al 25 maggio 1983, quando il temuto fallimento della Giordani, che allora impiegava circa 540 addetti (diminuiti a causa di dimissioni volontarie, pensionamenti e pre-prensionamenti), fu evitato a favore di un concordato preventivo giudiziale.

Nell’autunno 1983 l’occupazione delle maestranze fu messa a dura prova dalla prospettiva dell’acquisto della società da parte di due soggetti, la Silma di Torino e l’Azzurra baby, entrambi con legami con la Giordani stessa. La prima avrebbe voluto dimezzare l’organico sino a raggiungere le 195 unità dalle 470 impiegate nell’ottobre 1983, mentre della seconda non erano chiare le volontà, ma comunque il sindacato mostrava un forte scetticismo. La crisi della Giordani coinvolse anche le istituzioni politiche locali, tanto da portare il Consiglio comunale di Casalecchio di Reno ad approvare un ordine del giorno proposto dalla Giunta che sottolineava la solidarietà ai lavoratori ed esprimeva dissenso verso un piano di rilancio aziendale che avrebbe gravato pesantemente sulle spalle degli operai e degli impiegati.

I giorni compresi tra dicembre 1983 e gennaio 1984 furono particolarmente importanti per la salvaguardia dell’occupazione delle maestranze ancora impegnate nello stabilimento di Casalecchio di Reno (380 unità) e Bondeno (50), per le quali il pericolo della disoccupazione si faceva sempre più incombente. Il Tribunale di Bologna aveva infatti accolto la richiesta di concordato preventivo con cessione dei beni, cui sarebbe seguita un’asta per rilevare l’azienda e le proposte delle pretendenti non incontravano i favori del sindacato.

Presidi, assemblee e incontri tra il consiglio di fabbrica, la stampa, le istituzioni e le forze politiche locali si susseguirono - anche nei giorni di Natale, Santo Stefano e capodanno -  con l’obiettivo di sventare la chiusura dell’azienda nel gennaio 1984 e salvare il lavoro degli operai. Nel frattempo il Tribunale esprimeva le condizioni da soddisfare per ottenere in gestione lo stabilimento: il nuovo assetto avrebbe dovuto garantire l’occupazione minima di 240 lavoratori, impegnarsi a partecipare a gare d’asta per la parte mobile dell’azienda; l’affitto avrebbe avuto durata massima per due anni più uno. Mentre la situazione societaria sembrava vivere una fase di stallo, le maestranze continuarono le attività produttive all’interno degli stabilimenti di Casalecchio e Bondeno, in attesa della decisione del tribunale.

Il fatturato di 21 miliardi registrato nel 1983, nonostante l’assenza di una direzione, evidenziava le capacità positive della fabbrica sostenuta dal lavoro operaio e dall’impegno di venditori, confermando la validità della Giordani nel proprio settore. Presidi davanti allo stabilimento si alternavano giorno e notte e a marzo 1984, dei 359 operai in forza alla Giordani, 310 furono collocati in cassa integrazione a 0 ore, mentre i restanti erano impiegati per compiere l’inventario. Durante la primavera di quell’anno la paura di una liquidazione aziendale da parte del Tribunale di Bologna di fece sempre più forte, mentre le iniziative di lotta operaia – coadiuvate per quanto possibile dall’Amministrazione comunale di Casalecchio di Reno - tentavano di ostacolare la procedura fallimentare. Nel maggio 1984 vi fu però un cambio di rotta: alle iniziali rigidità mostrate dalla Azzurra baby, seguì un importante accordo firmato dalla stessa e la FLM con l’avallo del Tribunale, attraverso il quale nessun lavoratore sarebbe stato licenziato. La nuova società otteneva l’affittanza dello stabilimento di Casalecchio e si impegnava a trovare compratori per quello di Bondeno; inoltre attivava gli strumenti previsti dalla legge per alleggerire l’organico, come la cassa integrazione speciale, prepensionamenti, contratti di solidarietà e mobilità esterna. Nonostante un aggravio a carico dei lavoratori, che videro una diminuzione delle paghe e l’aumento del loro concorso alla mensa, l’obiettivo di salvaguardia dell’occupazione fu raggiunto.

Prese così avvio un nuovo corso aziendale lontano dalla proprietà della famiglia Giordani.